Elisa Lupo

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Lavoro

Fuga dei cervelli in aumento: cos’è che non va nel sistema di incentivazione al lavoro in Italia?

Nell’ultimo periodo mi è capitato di soffermarmi molto sugli incentivi alle assunzioni previsti dalla Legge, soprattutto dopo che il 4 luglio è entrato ufficialmente in vigore il Decreto Coesione, che aggiunge alle agevolazioni strutturali (under 30 e donne prive di impiego da almeno 2 anni) altri incentivi all’assunzione di under 35, donne, lavoratori svantaggiati e assunti nella Zona Economica Speciale.

Sia per supportare clienti che per erogare formazione e articoli di divulgazione studio a fondo queste misure mentre sui giornali il tenore delle notizie è altro: una ricerca Ipsos ha infatti valutato, su un campione di 1200 under30, la scarsa attrattività del nostro Paese per i neolaureati, il 65% dei quali si dice disposto a trasferirsi all’estero per opportunità più appaganti e in linea coi propri studi, oltre che per salari più competitivi. 

Considerando, però, che il nostro è anche il Paese dell’inverno demografico, con circa 100.000 studenti iscritti alle scuole dell’obbligo in meno all’anno, e che tra il 2008 e il 2022 sono stati 525.000 i giovani che si sono trasferiti all’estero, il 70% dei quali non ha intenzione di tornare in Italia, l’allarme diventa serio.

Si tratta di medici e ricercatori in meno, di dirigenti, artisti e altre professionalità per cui dovremmo attingere all’estero, quando non soffrirne la carenza e basta.

Come vanno letti questi dati alla luce degli incentivi al lavoro messi in atto dagli ultimi governi?

Partiamo dal legislatore che intende favorire l’assunzione dei più giovani garantendo al datore di lavoro delle agevolazioni. Tali agevolazioni, nella misura strutturale prevista per le assunzioni under 30, sono pari a € 3000 annui per 3 anni; nella misura introdotta dal Decreto Coesione per gli under 35 aumentano a € 6.000 per 2 anni. Già ad una prima occhiata non sembrano incentivi tanto allettanti da far aumentare di per sé sensibilmente le assunzioni. Se poi ci mettiamo anche che, in entrambi i casi, il lavoratore non deve avere avuto in passato rapporti di lavoro a tempo indeterminato, capiamo che non si intende supportare la mobilità lavorativa, grande motore della crescita professionale.

Ma procediamo ad approfondire i conti, per entrare più nel merito dell’attrattività degli incentivi.
Secondo l’indagine IPSOS, un neolaureato che rimane a lavorare in Italia percepisce in media uno stipendio netto mensile di €1.393 nel primo anno dalla laurea. Per garantire quello stipendio netto l’azienda sostiene un costo di €33.177, di cui una parte è rappresentata dai contributi Inps che, non considerando le agevolazioni in essere, ammontano a €7.054.

Se l’azienda avesse voluto essere attrattiva e allinearsi a quello che l’indagine IPSOS indica come stipendio netto percepito dai neolaureati all’estero pari a € 2.174, avrebbe dovuto sostenere un costo di € 61.206,14 pagando contributi Inps per € 13.000. Parliamo di cifre importanti, che in un tessuto di PMI come quello italiano, possono fare la differenza tra il decidere di assumere un nuovo lavoratore o meno.

In entrambi gli scenari si ha chiaro che le agevolazioni previste dal legislatore, non essendo proporzionali alla retribuzione corrisposta, non riescono a fare da volano ad assunzioni con retribuzioni in linea con la media europea, rendendo di conseguenza il nostro Paese poco attraente per i più giovani e condannandoci ad un futuro sempre più “vecchio” ed economicamente difficile da autosostentarsi.

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